giovedì 3 dicembre 2015

La lettura a un binario morto

Due tre cose sulla lettura


#1   La stazione di Forlì è molto semplice, ha tre binari: il numero 1 per i treni che vanno verso Bologna, il numero 2 per quelli che vanno verso Rimini e il numero 3 usato occasionalmente. Da qualche settimana, in seguito ad alcuni lavori, le cose sono cambiate. I treni per Bologna partono dal binario 2, quelli per Rimini dal binario 3 e il binario 1 al momento è inutilizzato.
Ieri Elisa, collega che lavora a Bologna e di treni ne prende, scriveva sulla sua pagina facebook:

L'analfabeta funzionale non legge i cartelli, che pure sono ben grandi e ben visibili nell'atrio e all'ingresso del corridoio. L'analfabeta funzionale non segue la segnaletica modificata. Non si domanda neppure perché è solo su un binario mentre il resto della gente è dall'altra parte della strada ferrata. Salvo poi imprecare mentre si scapicolla giù per le scale, che "cambiano tutto e non dicono mai niente"

A me sembra una immagine perfetta per capire a cosa serva effettivamente la lettura. Prima ancora che per quelle qualità morali di cui viene abitualmente investita (leggete qui cosa scrive Mario Filloley) e che generalmente vengono espresse con quelle frasi ad effetto di cui si parlava qui.
Prima del fatto che "La lettura è il viaggio di chi non può prendere un treno"  o che "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria", leggere serve, banalmente, a non starsene da soli su un binario morto, incapaci non solo di prestare attenzione a cartelli e avvisi ma anche di attribuire significato al comportamento degli altri. Leggere serve a prendere i treni che dobbiamo prendere, a vivere un po' più consapevolmente la propria vita. Nelle situazioni semplici, come quelle della stazione a Forlì, ma anche in quelle più complesse dove i binari sono più di tre.

#2 Tempo di scelte di scuola media superiore. Qualche giorno fa ho partecipato con la figlia tredicenne all'open day del Liceo Classico. Io ho un rapporto di amore e odio col Liceo Classico,  frequentato in tempi immemorabili.
Una insegnante ha fatto un discorso bello e sentito sull'importanza degli studi classici per capire la contemporaneità, sull'importanza del pensiero critico, dell'essere partecipi, dell'essere soggetti attivi nella propria esistenza. Ha citato Platone e la paideia e io già mi stavo intenerendo e pensavo che forse il Liceo Classico non era stato causa delle mie infelicità adolescenziali, che forse in quei tempi immemorabili ero solo una adolescente infelice che frequentava il classico, quando l'insegnante ha parlato di "un altro grande pensatore che cito sempre: Massimo Gramellini" ed in particolare di quel Buongiorno di qualche anno fa in cui difende lo studio del greco e del latino.
Capisco che gli open day siano l'occasione per tentare di accaparrarsi un po' di studenti, ingraziarsi qualche genitore mostrando un lato più moderno, ma davvero possiamo paragonare il pensiero di Platone al distillato di senso comune, quando non di luoghi comuni, che ogni mattina molti di noi mandano giù col caffè?
Siamo veramente convinti che "Chi impara a districarsi fra Tacito e Platone assimila una tecnica che potrà applicare a qualunque ramo del sapere e della vita" o non è piuttosto una di quelle banali semplificazioni che sentiamo ripetere sempre uguali da decenni, assieme a quella che il classico ti insegna un metodo di studio?
Chi impara a districarsi fra Tacito e Platone assimila la tecnica per districarsi fra Tacito e Platone, forse. E tutto sommato non sarebbe un risultato di poco conto. Per trarne insegnamenti di carattere generale, insegnamenti di vita le cose sono un pochino più complicate e gli elementi che concorrono molti di più.
Io non so che scuola sceglierà mia figlia, mi piacerebbe fosse una scuola in grado di affrontare la complessità senza appiattirla, una scuola in grado di leggere Platone e Gramellini senza elevare quest'ultimo al rango di grande pensatore.

#3 Ho riletto ultimamente un piccolissimo libro di Luca Ferrieri, Il lettore a(r)mato. Vademecum di autodifesa. Pubblicato nel 1993 per Millelire Stampa Alternativa (qui potete leggerlo tutto). Il libro, che per l'attualità dell'analisi, sembra scritto ieri e non 22 anni fa,  è un invito al lettore ad armarsi delle armi della consapevolezza del proprio ruolo e dei propri diritti.
E qui sotto, con le parole che lo chiudono,  torniamo all'uomo in stazione, fermo ad un binario da cui non parte nessun treno

Leggere: un atto politico
Non potremo mai cambiare la realtà se non (la) sappiamo leggere.

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