sabato 15 settembre 2012

I poteri terapeutici della Dewey


Sono debitrice per il titolo e per tutto il post alla collega Marilena Puggioni che mi ha fatto scoprire Perché essere felice quando puoi essere normale? di Jeanette Winterson. Non conosco personalmente Marilena, ma da un po' di tempo ci scambiamo suggerimenti di lettura su facebook scoprendo non poche affinità reciproche.

Il libro è il racconto autobiografico dell'autrice, cresciuta da una famiglia adottiva di cristiani pentecostali, è il racconto di un infanzia  e una adolescenza vissute all'insegna di una religione cupa e oppressiva.
Ma è anche la storia di un grandissimo amore per i libri e  la lettura.
Amore che, come spesso accade, nasce dal divieto, dalla proibizione
Avevo il permesso di leggere saggi sui re e sulle regine, e opere di storia, ma per nessuna ragione al mondo potevo leggere libri di narrativa. Erano quelli i libri che portavano guai.
Le chiesi perché non voleva libri in casa e lei rispose: «Il guaio di un libro è che scopri cosa contiene solo quando è troppo tardi» 

La biblioteca di Accrington diventa un rifugio (Era come vivere in una biblioteca, il luogo dove ero sempre stata più felice) nel quale passere il tempo leggendo romanzi in ordine alfabetico scoprendo, per fortuna immediatamente, gli scritti di Jane Austen, e scoprendo anche altri possibili criteri di ordinazione

La biblioteca pubblica di Accrington utilizzava la classificazione decimale Dewey, perciò i libri erano meticolosamente catalogati, a esclusione della narrativa di puro intrattenimento, che tutti disprezzavano. Così, i Romanzi d’Amore erano contrassegnati da un’etichetta rosa ed erano sistemati in ordine non alfabetico negli scaffali dei Romanzi d’Amore. I Racconti di Mare subivano la stessa sorte, però avevano l’etichetta verde. L’Horror aveva l’etichetta nera. I Gialli avevano l’etichetta bianca, ma la bibliotecaria non avrebbe mai catalogato romanzi di Raymond Chandler o di Patricia Highsmith sotto quella voce: erano opere letterarie, così come Moby Dick non era un Racconto di Mare e Jane Eyre non era un Romanzo d’Amore.
La bibliotecaria stava spiegando i vantaggi della classificazione decimale Dewey alla sua assistente, vantaggi che si estendevano a ogni settore della vita. Era un metodo che aveva un suo ordine, come l’universo. Aveva una sua logica. Era affidabile. Chi lo usava si elevava moralmente, perché così facendo riusciva anche a mettere sotto controllo il proprio caos interiore. «Tutte le volte che sono agitata» disse la bibliotecaria «penso alla classificazione decimale Dewey.» «E poi che succede?» chiese l’assistente, intimidita. «Poi capisco che la mia agitazione è qualcosa che è stato catalogato nel posto sbagliato.»
Marilena si chiede se possa essere essere un'altra delle motivazioni per pubblicizzare la frequentazione delle biblioteche, secondo me già in molti le frequentano, più o meno consciamente, anche per questo motivo.
Quanto agli effetti terapeutici della Dewey, voglio crederci visto che, come scrive la Winterson, ammette una certa discrezionalità. È un altro dei suoi punti di forza. Ci salva dalla confusione e ci concede una certa libertà di pensiero.

Discrezionalità e libertà di pensiero che mi piace anche applicata alle biblioteche, come in quella di Accrington, dove già negli anni '70 molta  narrativa si collocava per genere.

domenica 9 settembre 2012

la letteratura con la pummarola 'ncoppa


Su il Post c’è un bell’articolo, Il profumo della carta. L’autrice, Chiara Lino, si chiede quanto debba costare, quale sia il prezzo giusto di un ebook. Nel porre la domanda su twitter è nato un botta e risposta con alcuni rappresentanti della casa editrice Neri Pozza che vi consiglio vivamente di andare a leggere. Non cercatelo su twitter, però, perché pare che per una oscura politica aziendale tutti  gli scambi vengano periodicamente cancellati, ma qui.
La tesi è nota e un po’ vecchiotta: i prezzi sono alti per difendere la qualità.
Ma non è questa la parte più interessante. Quello che veramente illumina sull’atteggiamento e le posizioni di certa editoria sono l’arroganza, la spocchia e la maleducazione che contraddistinguono i tweet di Neri Pozza. 
Alla giornalista sono state date risposte come “non vogliamo trattare la letteratura come pummarole a basso prezzo”, “non vendiamo libri a meno di due pummarole”, e  ad un ulteriore richiesta di spiegazioni, “vada in una libreria, è un bel posto, sa, in cui le spiegheranno tutto con calma
All’articolo sul post seguono vari commenti, fra i quali uno di Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza, che spiega l’accaduto in questo modo
Deve preliminarmente sapere che i suoi interlocutori NP in Twitter sono giovani che hanno così a cuore il progetto editoriale della casa editrice da difenderlo con irruenza non sempre controllata. Io non avrei usato gli stessi toni, anche se naturalmente condivido il contenuto delle loro affermazioni in toto. (…) Poiché però lei ha usato sempre un tono civile e cortese, e mi sembra interessata davvero a comprendere la nostra posizione su prezzi e ebook, eccomi qui con alcune mie considerazioni. Vi è, a mio parere, alla base della forte contrapposizione probabilmente una differenza, per usare un termine in disuso, “ideologica” non confessata: i giovani interlocutori NP divorano i libri di critica della modernità, e probabilmente per lei e i suoi altrettanto giovani amici la modernità con tutte le sue innovazioni va invece abbracciata in pieno.
In Veneto liquiderebbero il commento di Russo con un bel “l’è peso el tacon del buso”.
Non è una questione di irruenza giovanile ma di qualità, parola di cui la casa editrice si fa vanto e che pertanto dovrebbe contraddistinguerne tutti gli aspetti e di professionalità, parolone il cui elevatissimo utilizzo è inversamente proporzionale alla sua applicazione.  Twitter non è obbligatorio ma non è un simpatico giochino con cui prendere a schiaffoni i lettori, bensì uno strumento di comunicazione con alcune regole precise.
E ancora Russo elargisce considerazioni in virtù del fatto che Chiara Lino ha usato un tono civile e cortese. E se per suo carattere personale, per la difficoltà ad articolare concetti in pochi caratteri fosse stata un po’ brusca, non sarebbe stata degna di considerazione?
Insomma sarebbe un po’ come se io, che faccio la bibliotecaria e detesto i libri di Baricco (non ci posso fare niente, è più forte di me, non li reggo proprio) tutte le volte che me ne chiedono uno cominciassi a strillare “questa è una biblioteca teniamo letteratura, non pummarole, se ne vada al supermercato!”. O se rispondessi solo alle persone che mi si rivolgono con tono cortese.
E poi c’è la questione giovanile e “ideologica”. Da una parte i critici della modernità e dall’altra i giovani che della modernità abbracciano in pieno le innovazioni. (Su questo leggetevi anche il commento di Iscarlets che mette in evidenza alcuni nodi fondamentali)
Ma su quali basi Russo dice queste cose? Ha dati, statistiche, numeri che  confermino questa sua teoria? Mi piacerebbe sapere chi acquista e utilizza i device, se sono una questione generazionale. Circa un anno fa Renzo Ginepro, direttore commerciale di Adelphi, sosteneva praticamente l’opposto (se ne parlava qui e qui). E, in ogni caso, porre la questione in questi termini così limitanti non vuole forse dire pregiudicarsi delle fette di mercato?
Insomma non solo twitter non è obbligatorio, non lo è neppure produrre e-book. Certo che se si decide di farlo bisognerebbe provare a farlo anche per venderli e non arroccandosi su posizioni di chiusura e di rifiuto.

Intanto il 6 settembre scorso 451 intellettuali, editori, operatori del settore hanno firmato l'appello Le livre face au piège de la marchandisation, sbrigativamente tradotto da Repubblica "Salviamo i libri dal mercato 2.0" L'appello è come i soliti appelli, uno sguardo nostalgico al passato, una avversione decisamente forte alla "macchina del progresso cieco" (E i commenti dei lettori non sono stati teneri: c'è chi ha fatto riferimento alla non verdissima età di alcuni dei firmatari e chi, più sbrigativamente li ha chiamati zombi). C'è anche però, e questo mi sembra decisamente interessante, una chiamata ad unirsi per difendere innanzitutto la qualità, la dignità e la remunerazione del lavoro culturale e per costruire e progettare insieme. 

giovedì 6 settembre 2012

La più grande biblioteca del mondo






















Leggono tantissimo i francesi, o almeno i parigini, nei giardini, nei bistrot e soprattutto in metropolitana che, non a caso, Pennac ha definito come la più grande biblioteca del mondo. Leggono seduti, in piedi, aggrappati ai sostegni, leggono durante un viaggio che attraversa la città o anche nei pochi minuti che separano una fermata da quella successiva. Leggono di tutto da Guillame Musso a Zola, da saggi sull'europeismo a De Musset, da Marc Levy a Jasper Fforde.
Leggono libri di carta, solo di carta. In sei giorni di foto rubate nei vagoni della metropolitana non ho visto un solo e-reader.
Però leggono, forse perchè "la lettura è, come l'amore, un modo di essere" (ancora Pennac)