domenica 17 settembre 2017

Il libro di Fathallah Saad


A New York, nel quartiere di Chelsea, percorrendo verso nord la 10th Avenue, poco dopo l'incrocio con la diciottesima, se si guarda in alto a destra ci si imbatte in un muro bianco con la scritta, in arabo e inglese:
Questo libro appartiene al suo proprietario Fathallah Saad. Lo ha acquistato con i propri soldi all'inizio del marzo 1892
La vista è decisamente migliore dalla highline da dove ho scattato la foto.
Incuriosita dalla scritta ho fatto un po' di ricerche e scoperto una storia interessante.

Il murale è stato creato nel 2014 dall'artista palestinese Emily Jacir  che, nella galleria sottostante, esponeva la sua opera, Ex libris. L'installazione, creata per dOCUMENTA (13) di Kassel, è stata esposta oltre che, appunto,  a New York anche a Torino.

La storia è questa.  In seguito alla risoluzione delle Nazioni Unite che, nel novembre 1947,  approvava la creazione di uno Stato ebraico, alla fine del mandato britannico nel maggio 1948 e alla nascita dello Stato di Israele (14 maggio 1948) 700.000 arabi palestinesi abbandonarono le proprie terre o ne furono espulsi e si videro negare il permesso di ritornarvi, anche dopo la conclusione della guerra arabo-israeliana del '48.
Dalle case, dalle scuole, dalle chiese, dagli uffici pubblici abbandonati furono portati via oltre 30.000 fra libri, periodici manoscritti. Circa 8.000 di questi sono conservati alla National Library of Israel a Gerusalemme contraddistinti dalla sigla AP (Abandoned Property)
I libri non sono ammessi al prestito, alcuni sono digitalizzati. Se siete curiosi di vedere la lista completa (e sapete l'arabo) qui c'è il catalogo ricerca avanzata, basta mettere la sigla AP in Call Number

Fin qui i fatti. Da questo momento si entra nel campo, non semplice, della loro lettura e interpretazione. Di quella linea di demarcazione non sempre chiara fra opera di salvataggio, conservazione e invece furto, spoliazione, quando non addirittura tentativo di cancellazione di una cultura.

Nell'articolo di Haaretz si racconta la storia del recupero di questo materiale, avvenuto ad opera di bibliotecari, spesso accompagnati da militari. Le intenzioni erano dichiaratamente quelle di salvare materiale che altrimenti sarebbe andato distrutto e i bibliotecari si posero il limite etico di prelevare libri solo da edifici chiaramente abbandonati e di non entrare in case che non fossero aperte. Ciò non toglie che il materiale non catalogato sia andato disperso in vario modo: venduto, distrutto, mescolato alle altre collezioni della biblioteca, (lo sostiene Gish Amit, autore di una tesi di dottorato proprio sul materiale AP) Quello catalogato, invece, quel nucleo di 8.000 volumi, fu visto ben presto anche come la occasione per arricchire considerevolmente il proprio patrimonio in un settore, quello dei libri arabi, non particolarmente fornito.

Diversa, ovviamente, la lettura palestinese e, più in generale araba, Si parla infatti di saccheggio sistematico, di tentativi di cancellare la storia e la cultura araba ed islamica (qui e qui) e si chiede la restituzione dei documenti.

Ma torniamo all'opera di Emily Jacir e alla scrittta sul muro che aveva attirato la mia attenzione.
Emily Jacir ha frequentato per due anni la National Library of Israel, sfogliando, guardando, analizzando i libri della sezione A.P.
Cercando di capire  Quali libri sono stati considerati non importanti e non significativi, non meritevoli di essere raccolti e conservati? Quali sono stati scartati? Che cosa è successo ai libri in lingua inglese, italiana, spagnola, ecc? Quali hanno evitato la denominazione “A.P.” e sono entrati a far parte delle collezioni generali della biblioteca
E poi cercando e fotografando col proprio cellulare, nei libri A P,  le note di possesso, le scritte a margine, le sottolineature, le macchie, le piccole cose conservate fra le pagine.
Come dice lei stessa: Durante le prime visite ero concentrata sul documentare le dediche sui libri, in particolare i nomi dei proprietari. Ma man mano procedevo nel lavoro, cominciai a essere più interessata alle piccole tracce lasciate tra le pagine… macchie, scarabocchi, note a margine, pezzetti di carta. (Qui il testo completo)

Quelle foto, esposte senza didascalie, in uno spazio bianco rendono perfettamente la solitudine e il silenzio dei libri abbandonati, allontanati dalle case che li ospitavano, da chi li aveva scelti. Ma al tempo stesso l'immagine di una macchia di caffè, di un bigliettino conservato fra due pagine, di un santino di Gesù con una piccola preghiera in italiano, di uno scarabocchio a matita lungo il margine riportano in vita, almeno per un po', i libri,  li riconsegnano ai legittimi proprietari e alle loro abitudini.


Se volete  sapere qualcosa di più sulla storia dei libri sottratti o salvati potete leggere Ownerless Objects? The story of the books Palestinians left behind in 1948  di Gish Amit, grazie ai suoi studi si è acceso l'interesse su questi materiali.
Gish Amit è anche una delle persone intervistate nel documentario The great book robbery (dal minuto 3.50) di Benny Brunner. Il film racconta la storia delle Abandoned Property, porta alcune testimonianze di persone costrette ad abbandonare le proprie case e i propri libri.
E ancora Overdue Books: Returning Palestine’s ‘Abandoned Property’ of 1948 di Hannah Merlmeistein