lunedì 22 giugno 2015

Biblioteche che non lo erano

Ho appena finito di leggere Notizie che non lo erano di Luca Sofri.
Il libro, se ne è parlato parecchio, racconta come molte delle notizie giornalistiche che siamo abituati a leggere, indistintamente sui giornali cartacei o online e più genericamente in internet, non siano vere o non lo siano completamente.
Attraverso una serie di esempi, alcuni francamente esilaranti come quelli legati a cattive traduzioni di frasi in lingue inglese, ma tutti comunque sconsolanti, Sofri ci spiega in cinque capitoli (Da dove arrivano, Come si insediano nelle redazioni, Come si impossessano dei titoli, Perché smettiamo di accorgercene, Come se ne esce) come funziona buona parte del giornalismo italiano

C'è una frase nel libro, non di Sofri ma che Sofri afferma di condividere, di Jeff Jarvis, giornalista americano ed esperto di comunicazione contemporanea "Qualunque cosa svolga efficacemente il compito di creare comunità più informate - e quindi meglio organizzate - è giornalismo"
Ecco mi chiedo se, parafrasando e ad un livello più piccolo, ed in Italia infinitamente più piccolo, visto gli esigui numeri di chi le frequenta, qualunque cosa svolga efficacemente il compito di creare comunità più informate non possa e non debba essere anche biblioteca.
Mi spiego meglio. Se è vero, e Sofri nel suo libro lo spiega molto bene, che è estremamente difficile distinguere il vero dal falso, che ad aumentare la confusione contribuiscono tutti gli attori sul palcoscenico, che dobbiamo imparare a muoverci con diffidenza, vorrei aggiungere con consapevolezza, per tentare di fare le dovute distinzioni, credo che le biblioteche in tutto questo possano e debbano avere un compito fondamentale.
Forse sarebbe ora di dare una visione più ampia al tanto sbandierato ruolo di centralità sociale della biblioteca che spesso si declina in corsi di tricot, tornei di burraco, iniziative estemporanee di balletti che neanche il dopolavoro ferroviario, rivendicazione di un ruolo di welfare sbandierando orgogliosi l'ospitalità ad homeless che svernano sulle sedute di design (citando a questo punto immancabilmente Bukowski che passando intere giornate alla biblioteca di Los Angeles scopriva John Fante, Sartre e Céline).
Che le biblioteche pubbliche debbano essere aperte tutti, a chi ha cinque case e chi non ne ha nessuna, alla casalinga di Voghera e al disoccupato dovrebbe esser cosa normale di cui non farsi vanto.
Ma sono assolutamente convinta che non si debba perdere di vista il loro ruolo fondamentale che è quello di contribuire a diffondere informazione, sapere, consapevolezza, cultura. E credo anche che una delle prime forme di disparità sociali sia la mancanza di accesso all'informazione e che se le biblioteche devono avere un ruolo di welfare debba essere quello di welfare della conoscenza.

Poi, se devo fare un appunto al bel libro di Luca Sofri, gli rimprovero forse di non aver messo in luce a sufficienza gli effetti di anni di notizie false mai smentite, di ricostruzioni inventate o fantasiose, insomma di un giornalismo approssimativo quando non in malafede, sulla costruzione dell'opinione pubblica italiana.
Ma qui, per quanto molti di quegli effetti siano sotto gli occhi di tutti, ci vorrebbe un altro libro

Nessun commento:

Posta un commento