venerdì 14 agosto 2020

Dieci splendidi oggetti morti

Dieci oggetti - mappe, penne, telefono, macchina fotografica... - che abbiamo utilizzato, che sono entrati nelle nostre case, hanno fatto parte delle nostre vite e che adesso non ci sono più. Sono morti, sostituiti da qualcos'altro.
Dieci oggetti attraverso i quali è possibile raccontare un po' della nostra storia, delle nostre vite, di come eravamo e di come siamo diventati.
È tutto qui e non è poco. Anzi è moltissimo. Soprattutto per lo sguardo sereno ed equilibrato sul cambiamento.
Uno degli sport nazionali maggiormente praticati mi sembra essere una generica e diffusa ostilità verso tutto quello che è nuovo, sia oggetto tecnologico o qualsiasi altra mutazione. Un diffuso signora mia dove andremo a finire, una rancorosa nostalgia che porta a considerare, prevedere, analizzare e considerare nefasti tutti i cambiamenti, senza individuarne le potenzialità, e a rimpiangere una mitica età dell'oro ormai scomparsa.
Mantellini non pratica questo sport, il suo sguardo è equilibrato, spiega, soppesa: Ma come sempre, vale anche per gli oggetti che ci circondano, nelle mutazioni qualcosa perdiamo e qualcosa portiamo con noi: l'indagine di tutto questo, la contabilità del dare e dell'avere è alla fine, la nostra storia. (pp. 9 -10)
A volte, come quando parla del passaggio da penne a tastiere, a schermi touch e ancora a sintesi vocale, considerato come fonte di erosione delle nostre capacità cognitive, ironizza e porta alle estreme conseguenze il ragionamento prevalente sul rifiuto del nuovo. 
Lo vedete anche voi il precipizio? Osservate anche voi questa traiettoria secondo la quale qualsiasi variazione è sempre peggiore della precedente? E subito dopo: riuscite a immaginare voi stessi, improvvisamente restituiti alla vostra iniziale intelligenza, con una penna d'oca in mano ad intingerla dentro un calamaio di vetro spargendo macchie d'inchiostro intorno? E poi magari perfino più indietro, fino a una piazza dell'antica Grecia nella quale un filosofo, poi diventato discretamente noto, sta sostenendo appassionatamente la superiorità dell'oralità sulla scrittura. Vi sembra plausibile un simile percorso a ritroso? No, vero? Ecco. (p. 36)
A parlar di dischi in vinile, cieli stellati, silenzi, cartine geografiche da dispiegare e ripiegare il rischio dell'effetto nostalgia è forte. Questo libro lo evita, evita la nostalgia collettiva che offusca il giudizio, il rimpianto acritico dei bei tempi andati, offre punti di vista diversi, invita alla curiosità. E mentre lo fa suscita piccole, personali nostalgie private. La mia è per una mappa del Peloponneso con tutte le strade della terra dei Mani percorse più volte. La tenevamo in auto. Poi un giorno è sparita e in quei posti non siam più tornati. Ma se avessimo fatto uso di un navigatore probabilmente non ci saremmo persi in Arcadia.

Incastonata proprio a metà fra la storia dei dieci oggetti morti c'è anche la storia di uno splendido oggetto vivo: il libro.
Come bibliotecaria, e non solo, questa storia mi è particolarmente cara.
Mi è cara perché al suo interno vi è raccontata una storia che mi ha incuriosito che ho amato molto, quella dei libri portati via dalle case abbandonate dai palestinesi nel 1948 e ora conservati alla Jewish National Library di Gerusalemme. 
Scoprire le tracce lasciate nei libri, ricomporre per quanto virtualmente le biblioteche smembrate ci avvicina alle persone che quei libri hanno avuto in mano, ce le fa conoscere almeno un po'.
Ma all'interno di questa storia ve ne è un'altra, quella di due persone che vivono nella stessa città, hanno amicizie in comune ma non si conoscono, e grazie a internet riescono a parlare di cose che interessano a entrambi.
E qui mi si scatena una piccola forma di nostalgia, non del passato ma di come vorrei che fosse internet, o fosse di più.

Massimo Mantellini, Dieci splendidi oggetti morti, Einaudi, 2020