lunedì 19 aprile 2021

È tutt'altra, e al tempo stesso è lei, sempre lei.

Nikolaj Rostov  e la cugina Sonja. Si conoscono da sempre, lei, poco più che bambina, gli giura amore eterno, lui promette di sposarla.
Poi perde una fortuna al gioco, si arruola negli ussari, sta via per degli anni (in Guerra e Pace anni e chilometri abbondano), torna in licenza - ma solo perché costretto - per prendere in mano la disastrosa situazione familiare ma preferisce dedicarsi alla caccia.
Sonja è sempre lì, aspetta. Lui finge di non accorgersene, è attratto ma forse no. Non si può dire che sia uomo di idee chiare e forte volontà.

Il giorno di Natale in casa Rostov festeggiano travestendosi, Nikolaj da vecchia dama con la crinolina, Sonja da circasso con sopracciglia e baffi disegnati col sughero bruciato.

E così camuffati, mascherati, lui da donna, lei da uomo,  si vedono veramente per la prima volta e Nikolaj si accorge che Sonja "è tutt'altra, e al tempo stesso è lei, sempre lei", la bacia e decide di sposarla.

Ma Nikolaj Rostov non è uomo di idee chiare e forte volontà.

Guerra e pace. Per la terza volta, quest'ultima in audiolibro.

lunedì 26 ottobre 2020

In tutti i miei corpi

Le mie figlie mi prendono un po’ in giro quando vedono che cucino ascoltando un audiolibro, o che faccio colazione leggendo, o che dissemino libri in giro per la casa.

Mi dicono che ormai vivo in una dimensione parallela, quella delle storie, e sottintendono una leggera affettuosa critica, una piccola preoccupazione. 

Dovrei, secondo loro, uscire di più, fare cose, vedere gente. Insomma partecipare maggiormente della vita “vera”.

Ovviamente non sono d’accordo con loro, con l’età sono solo diventata più selettiva, uscire non è un valore in sé dipende da cosa si fa e dalle persone con cui, eventualmente, lo si fa.

Non è nemmeno vero che io abiti nelle storie che leggo e ho sempre trovato terribile la retorica di chi sostiene che leggere faccia vivere altre vite. 

Se mi ascoltassero, ma una sta guardando una serie su Netflix e l’altra sta ascoltando un podcast, direi loro di leggere per intero il racconto qui sotto, e anche gli altri di questo bel libro.


Autobiografie scelte 

Ricordo chiaramente, a pelle, senza esserci mai stato, il sole fiammeggiante sugli infiniti campi di cotone della Louisiana. Ricordo sul mio palato il gusto della madeleine di Proust e le sue briciole che galleggiavano nel tè. Ricordo come portarono per la prima volta il ghiaccio a Macondo e mio padre mi accompagnò dallo zingaro Melquíades. Ricordo una terribile tempesta invernale e la candela che ardeva in casa, la candela ardeva…

Mi rendo conto, probabilmente come tanti prima di me, che tra i miei ricordi personali ce ne sono molti scaturiti dai libri. La lettura produce ricordi.Da tempo non ricordo e mi rifiuto di indagare quali provengono dalla lettura e quali no. Non percepisco nessuna differenza, tutto è stato visto, tutto mi fa venire la pelle d’oca, tutto ha lasciato una cicatrice.

In tutti i miei corpi…


Georgi Gospodinov, Tutti i nostri corpi. Storie superbrevi, Voland 2020

venerdì 14 agosto 2020

Dieci splendidi oggetti morti

Dieci oggetti - mappe, penne, telefono, macchina fotografica... - che abbiamo utilizzato, che sono entrati nelle nostre case, hanno fatto parte delle nostre vite e che adesso non ci sono più. Sono morti, sostituiti da qualcos'altro.
Dieci oggetti attraverso i quali è possibile raccontare un po' della nostra storia, delle nostre vite, di come eravamo e di come siamo diventati.
È tutto qui e non è poco. Anzi è moltissimo. Soprattutto per lo sguardo sereno ed equilibrato sul cambiamento.
Uno degli sport nazionali maggiormente praticati mi sembra essere una generica e diffusa ostilità verso tutto quello che è nuovo, sia oggetto tecnologico o qualsiasi altra mutazione. Un diffuso signora mia dove andremo a finire, una rancorosa nostalgia che porta a considerare, prevedere, analizzare e considerare nefasti tutti i cambiamenti, senza individuarne le potenzialità, e a rimpiangere una mitica età dell'oro ormai scomparsa.
Mantellini non pratica questo sport, il suo sguardo è equilibrato, spiega, soppesa: Ma come sempre, vale anche per gli oggetti che ci circondano, nelle mutazioni qualcosa perdiamo e qualcosa portiamo con noi: l'indagine di tutto questo, la contabilità del dare e dell'avere è alla fine, la nostra storia. (pp. 9 -10)
A volte, come quando parla del passaggio da penne a tastiere, a schermi touch e ancora a sintesi vocale, considerato come fonte di erosione delle nostre capacità cognitive, ironizza e porta alle estreme conseguenze il ragionamento prevalente sul rifiuto del nuovo. 
Lo vedete anche voi il precipizio? Osservate anche voi questa traiettoria secondo la quale qualsiasi variazione è sempre peggiore della precedente? E subito dopo: riuscite a immaginare voi stessi, improvvisamente restituiti alla vostra iniziale intelligenza, con una penna d'oca in mano ad intingerla dentro un calamaio di vetro spargendo macchie d'inchiostro intorno? E poi magari perfino più indietro, fino a una piazza dell'antica Grecia nella quale un filosofo, poi diventato discretamente noto, sta sostenendo appassionatamente la superiorità dell'oralità sulla scrittura. Vi sembra plausibile un simile percorso a ritroso? No, vero? Ecco. (p. 36)
A parlar di dischi in vinile, cieli stellati, silenzi, cartine geografiche da dispiegare e ripiegare il rischio dell'effetto nostalgia è forte. Questo libro lo evita, evita la nostalgia collettiva che offusca il giudizio, il rimpianto acritico dei bei tempi andati, offre punti di vista diversi, invita alla curiosità. E mentre lo fa suscita piccole, personali nostalgie private. La mia è per una mappa del Peloponneso con tutte le strade della terra dei Mani percorse più volte. La tenevamo in auto. Poi un giorno è sparita e in quei posti non siam più tornati. Ma se avessimo fatto uso di un navigatore probabilmente non ci saremmo persi in Arcadia.

Incastonata proprio a metà fra la storia dei dieci oggetti morti c'è anche la storia di uno splendido oggetto vivo: il libro.
Come bibliotecaria, e non solo, questa storia mi è particolarmente cara.
Mi è cara perché al suo interno vi è raccontata una storia che mi ha incuriosito che ho amato molto, quella dei libri portati via dalle case abbandonate dai palestinesi nel 1948 e ora conservati alla Jewish National Library di Gerusalemme. 
Scoprire le tracce lasciate nei libri, ricomporre per quanto virtualmente le biblioteche smembrate ci avvicina alle persone che quei libri hanno avuto in mano, ce le fa conoscere almeno un po'.
Ma all'interno di questa storia ve ne è un'altra, quella di due persone che vivono nella stessa città, hanno amicizie in comune ma non si conoscono, e grazie a internet riescono a parlare di cose che interessano a entrambi.
E qui mi si scatena una piccola forma di nostalgia, non del passato ma di come vorrei che fosse internet, o fosse di più.

Massimo Mantellini, Dieci splendidi oggetti morti, Einaudi, 2020

domenica 19 luglio 2020

I libri da scartare e le scarpe spaiate

Un amico mi racconta che non immaginiamo neppure cosa finisce nei cassonetti gialli, quelli che dovrebbero raccogliere indumenti usati in buone condizioni: abiti vecchissimi, laceri ben oltre la possibilità di essere indossati, indumenti (anche intimi) sporchi, scarpe spaiate.
Perché comunque è un dono, perché le cose vecchie non si buttano, perché in ogni caso stiamo facendo qualcosa di buono (è innegabile che chi non ha scarpe potendone indossare una sola migliori comunque del 50% le proprie condizioni, immagino penseranno i munifici donatori di calzature), perché insomma se se sei povero meglio un vestito sporco di niente, no?
Questa idea che nulla vada gettato, anche quando la destinazione naturale sarebbe la discarica, si sta estendendo anche ai libri, (con effetti meno drammatici, sia chiaro)  a giudicare dai numerosi articoli che gridano allo scandalo per libri di biblioteche gettati nei cassonetti o abbandonati da qualche parte.
A legger le notizie si scopre che poi molte volte notizie non sono ma, si sa, a indignarsi basta un click.
Abbiamo una cantina piena di libri umidi e polverosi che non vogliamo più, che non ci interessano, che sono brutti, che ci ingombrano? Li si doni alla biblioteca, che diamine.
La biblioteca fa lo scarto di copie vecchie e malmesse? Non sia mai che vengano gettate, ci sarà ben qualcuno che potrà giovarsi di un'enciclopedia degli anni '80 (intanto si cominci a studiare quella, per gli aggiornamenti ci pensiamo poi), di un dizionario che manca di alcune pagine ma è comunque pieno zeppo di parole, di libri che, passati di mano in mano hanno rilegature traballanti, riparazioni malfatte a colpi di nastro adesivo, impronte di tazzine di caffè, tracce di cibo quando non di altro.
Possiamo donarli per il bookcrossing, per le "bibliotechine" spontanee, per quelle che nascono nelle corsie degli ospedali, perché un libro non si butta mai, è sacro, è cultura, si dona, perché un libro qualsiasi è meglio di niente.
Senza giri di parole: a me fa orrore questa idea che chi ha meno di noi, chi è in difficoltà, chi è ammalato non abbia diritto come noi, come tutti, a vestiti decenti, mutande pulite, scarpe in numero pari e libri in buone condizioni.
E l'indignazione dovrebbe partire forte e chiara ogni volta che in biblioteca vi danno un libro malmesso, ogni volta che vedete scaffali ingombri di ciarpame e non quando leggete articoli malscritti su presunti scarti.

Le procedure di scarto nella nostre biblioteche sono complesse, articolate (anche troppo), e volte principalmente alla tutela del patrimonio bibliografico. Chiedete ai bibliotecari come funziona, scoprirete che quello che viene scartato è quasi sempre in condizioni penose o comunque superato (veramente vi documentereste su una enciclopedia degli anni '80?)* che è comunque presente in altre biblioteche e che, se lo si ritiene opportuno, verrà sostituito da nuove copie.

In fin dei conti per gli indumenti e i libri dovrebbe valere la stessa regola: doniamo quello che potremmo indossare ancora (se non avessimo cambiato taglia, se non fosse stato un acquisto sbagliato) e quello che potremmo leggere ancora. Il resto finisca dove deve finire: riciclato a creare nuovi filati e nuova carta.

E che mi giungano in dono libri a caso, usati e provenienti da cantine umide se scriverò ancora una sola riga sullo scarto

*Le enciclopedie degli anni '80 in genere sono state messe a deposito e non scartate

domenica 7 giugno 2020

Le voci

Da un paio di anni ascolto moltissimi audiolibri. Lo faccio in auto, andando e tornando dal lavoro, dai cinquanta minuti all'ora al giorno, a seconda del traffico.
Romanzi per lo più, molte riletture (Anna Karenina, il Pasticciaccio, La storia), qualcosa di nuovo (Il colibrì di Veronesi, ad esempio).
Spesso mi faccio guidare dalle voci, mi è piaciuto moltissimo Nanni Moretti leggere i Sillabari di Parise e Caro Michele di Natalia Ginzburg. Mi sono innamorata della voce di Fabrizio Gifuni e sono andata cercare  ogni cosa letta da lui.
Raramente ascolto saggistica, mi accorgo di non aver la concentrazione necessaria, vorrei sottolineare, prendere appunti, annotazioni.
Qualche giorno fa ho riprovato con Nel contagio, di Paolo Giordano. Ne avevo letto buone recensioni, avevo appena terminato un romanzo che mi aveva impegnato per quasi un mese di pendolarismo casa lavoro e volevo qualcosa di breve (Nel contagio dura appena un'andata e ritorno Forlì - Faenza).
Non so dire se il libro mi è piaciuto oppure no, forse l'ho letto un po' tardi, a due mesi dalla sua uscita, a tre dall'inizio della pandemia in Italia, quando ormai di cose ne sono state lette ed ascoltate moltissimo.
Il vero problema, per me, è stata la voce. La stessa voce delle audioguide che a volte prendiamo, pentendocene, quando andiamo in giro per musei e cattedrali. La stessa intonazione piena di entusiasmo per lo straordinario slancio verticale di una navata gotica applicata al contagio.
Ecco io ascoltavo  e provavo a concentrami mentre percorrevo la via Emilia ma dopo un po' la mia mente vagava e ho cominciato a guardarmi attorno con attenzione, sicura che la voce di lì a poco avrebbe detto qualcosa come "più avanti sulla destra, potete ammirare una splendida pala d'altare del Quattrocento. Si tratta di un polittico raffigurante la Madonna col Bambino e Santi. L'attribuzione è controversa, infatti...".

giovedì 12 marzo 2020

Non leggete in quarantena

In questi giorni in cui sta forzatamente in casa si passa più tempo su internet e sui social e si ripetono gli appelli e i video per indicarci i comportamenti utili  per proteggerci dal virus. I principali sono:

- lavarsi spesso le mani per almeno trenta secondi
- se dobbiamo uscire mantenere una distanza di sicurezza di almeno un metro dal resto del mondo
- stare in casa, anzi #iorestoacasa
- leggere dei libri

Ora, mentre le prime tre indicazioni vanno senz'altro scrupolosamente seguite da tutti noi, non ci sono, a tutt'oggi, evidenze scientifiche che leggere contrasti il coronavirus.
Mettiamola così, se non ve ne è fregato mai nulla dei libri, o se ve ne frega molto poco non dovete sentirvi in obbligo e mettervi all'improvviso a leggere perché come aprite facebook o instagram o le pagine online di qualche quotidiano c'è qualcuno che vi dice quanto è bello avere davanti a sé una sterminata prateria di ore da percorrere leggendo.
Anche perché i libri consigliati sono in genere  la Peste di Camus, I promessi sposi (per la peste), Cecità di Saramago, con una specie di peste anche lì, gli scritti di Poe e altre cose di argomento pestilenziale.
Ora voi siete lì, chiusi in casa per non diffondere il contagio, e già non vi piace leggere ma vi dicono di leggere e cominciate con libri che parlano di pestilenze e di contagi?
Ma è chiaro che vi deprimete o vi vengono istinti omicidi o la voglia irrefrenabile di uscire.
Oppure siete lì in casa e tutti vi dicono che leggere fa bene, ma casa vostra, visto che non ve ne è mai importato molto della lettura, quanti libri ci saranno? e soprattutto quali? Azzardo: I promessi sposi e tutti quegli altri libri che vi dicevano di leggere quando andavate a scuola e che non vi sono mai piaciuti e li riprendereste in mano già considerandoli libri brutti in partenza.

Facciamo così. Voi, se non ne avete voglia, non cominciate a leggere proprio adesso. Tanto quando usciremo nessuno ci chiederà quali libri abbiamo letto e cosa ne pensiamo. E se qualcuno ve lo chiede mi chiamate e vi passo io qualche titolo e qualche bella frase a effetto con la quale fare un figurone.
Poi magari un giorno passate dalla biblioteca e con calma cerchiamo insieme libri che vi piacciano.

sabato 7 marzo 2020

Lo strano caso delle biblioteche diventate all'improvviso indispensabili

È straordinario come le biblioteche, in questi giorni di emergenza Coronavirus, da cenerentole neglette buone per eroder loro di anno in anno il bilancio, siano diventate improvvisamente importantissime, presidi inalienabili, avamposti culturali.
In Emilia Romagna è cominciato tutto con la prima ordinanza, quella di domenica 23 febbraio che ha cominciato a circolare in versione non ufficiale (ma comunque condivisa da sindaci e siti istituzionali) che prevedeva la "Sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all'articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.L 42/2004"
In tanti ci siamo affannati in quel pomeriggio di domenica a consultarci, ad aggiornare il sito e le pagine social delle biblioteche annunciando la chiusura.
Poche ore dopo abbiamo scoperto la nostra fondamentale e imprescindibile importanza.
All'articolo relativo alla sospensione dei servizi di apertura era stato aggiunto: Fanno eccezione le biblioteche.
E così è trascorsa una allegra prima settimana con museini di provincia che faranno 20 visitatori a settimana rigorosamente chiusi e biblioteche, che contano centinaia quando non migliaia di ingressi giornalieri, aperte, spalancate.
Erano ancora tempi in cui la preoccupazione per il pericolo di favorire il contagio e l'indignazione per questa misura assurda potevano esser stemperate dall'ironia sul nostro stato di eccezionalità, sulla invulnerabilità di noi bibliotecari a virus e ad altre quisquilie.
Poi ci sono stati i giorni dell'incauto ottimismo e grido di #laculturanonsiferma si son riaperti i musei e son state date disposizioni sulla giusta distanza da tenere. Abbiamo scherzato ancora un po', c'è chi ha proposto eleganti crinoline per tenere tutti a un metro, abbiamo cercato di prendere le misure che ci veniva richiesto di prendere, in ordine sparso, ognuno animato dalle migliore intenzioni ma senza indicazioni precise: abbiamo tolto posti a sedere, invitato gli utenti a mantenere le distanze, usato in continuazione gel e prodotti disinfettanti, qualche biblioteca ha messo in quarantena i libri rientrati da prestito e aspetta una settimana prima di riprestarli ancora. Basterà? Servirà? Ci han chiesto di trasformarci da bibliotecari a improvvisati metrologi, a virologi dilettanti.
Adesso basta però. Senza allarmismi ma consultando le fonti giuste (spero che ci venga riconosciuta almeno la capacità di saper fare questo) in un momento in cui si fa appello alla responsabilità individuale per non contribuire a diffondere il virus, continuare a tenere aperte le biblioteche (che continuano ad essere frequentate come prima più di prima) è un atto di assoluta e totale  incivile irresponsabilità.
La cultura in Italia è ferma, fermissima da anni e non è con queste aperture simboliche e con slogan retorici che ripartirà.
E spiace che a questo si sia associata, buon ultima va detto, sempre sul pezzo con un paio di settimane di ritardo, anche l'AIB - Associazione Italiane Biblioteche - che in un suo comunicato ha ribadito la favola bella dei servizi indispensabili che non possono essere interrotti. Evidentemente anche in AIB ci son molte persone che non frequentano biblioteche pubbliche, non le tengono in nessun conto e si cullano nell'autoreferenzialità appagante della Cultura con la C maiuscola.
Mi spiace, ci avevo creduto. Da quest'anno non rinnoverò l'iscrizione.