venerdì 11 dicembre 2015

Tutto quello che so sul sesso l'ho imparato in biblioteca

Troppo timida per chiedere ai miei,  troppo diffidente per fidarmi di quelle strane e incredibili storie che raccontavano bambini più addentro nei fatti della vita, quando volevo farmi un'idea precisa delle cose andavo alla biblioteca del posto in cui sono cresciuta.
Abitavo alla Cava, quartiere popolare separato dal centro di Forlì da due chilometri di campagna lungo la via Emilia e dal ponte di Schiavonia. Distanza piccola, forse più psicologica che reale, ma chi abita alla Cava ha sempre considerato il posto come  un'entità a parte, un nucleo separato e in qualche modo autosufficiente (vado a Forlì si diceva per andare in piazza Saffi e si compulsava l'orario dell'autobus, attenti a non perdere la corsa)
Insomma era quella, la biblioteca del quartiere, la mia biblioteca, l'unica di cui fossi a conoscenza, il posto in cui trovavo le risposte alle me domande.
Così la mia educazione sessuale è cominciata sfogliando il bellissimo Come nascono i bambini di Andrew Andry e Steven Schepp con le illustrazioni di Blake Hamilton. Libro che spiegava bene tutte quelle cose delle api e dei fiori e del polline ma che, invece di fermarsi lì, continuava a raccontare con i termini esatti, scientifici, con le parole giuste, con illustrazioni precise ma misurate come si concepiscono e come nascono i bambini.
In biblioteca, grazie ad una volenterosa bibliotecaria autodidatta, tanto incompetente in materia di libri quanto accogliente - vieni, entra - mi diceva - scegli quello che vuoi, puoi prendere quello che vuoi - sono nate e cresciute le mie letture incongrue, bulimiche, disordinatissime. Le avventure di Nancy Drew, i grandi classici, i libri assolutamente inadatti alla mia età.
Se ho cominciato ad amare i libri, la lettura lo devo (e lo dico senza nessuna retorica) anche alla
biblioteca della Cava che, qualche mese fa, è stata improvvisamente chiusa. Temporaneamente, si dice, si spera. La scuola nella quale era ospitata ha reclamato per sé quegli spazi e pare se ne stiano cercando dei nuovi.
E anche se si dice che le distanze si sono accorciate, anche se la campagna ai lati della via Emilia è stata sostituita da brandelli di città diffusa, la Cava continua ad essere (e a considerarsi) separata da Forlì. Da due chilometri e da un ponte. E molta della gente che vi abita è invecchiata (come sempre accade nella zone di nuovo inurbamento, dove tutti attraversano insieme le stesse fasi della vita) e vi sono nuovi bambini. E vecchi e bambini potrebbero non aver voglia o tempo o, più semplicemente, la possibilità di percorrere due chilometri e di attraversare un ponte e fare altra strada per raggiungere la biblioteca centrale. Alla Cava sarebbe più semplice, no?

giovedì 3 dicembre 2015

La lettura a un binario morto

Due tre cose sulla lettura


#1   La stazione di Forlì è molto semplice, ha tre binari: il numero 1 per i treni che vanno verso Bologna, il numero 2 per quelli che vanno verso Rimini e il numero 3 usato occasionalmente. Da qualche settimana, in seguito ad alcuni lavori, le cose sono cambiate. I treni per Bologna partono dal binario 2, quelli per Rimini dal binario 3 e il binario 1 al momento è inutilizzato.
Ieri Elisa, collega che lavora a Bologna e di treni ne prende, scriveva sulla sua pagina facebook:

L'analfabeta funzionale non legge i cartelli, che pure sono ben grandi e ben visibili nell'atrio e all'ingresso del corridoio. L'analfabeta funzionale non segue la segnaletica modificata. Non si domanda neppure perché è solo su un binario mentre il resto della gente è dall'altra parte della strada ferrata. Salvo poi imprecare mentre si scapicolla giù per le scale, che "cambiano tutto e non dicono mai niente"

A me sembra una immagine perfetta per capire a cosa serva effettivamente la lettura. Prima ancora che per quelle qualità morali di cui viene abitualmente investita (leggete qui cosa scrive Mario Filloley) e che generalmente vengono espresse con quelle frasi ad effetto di cui si parlava qui.
Prima del fatto che "La lettura è il viaggio di chi non può prendere un treno"  o che "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria", leggere serve, banalmente, a non starsene da soli su un binario morto, incapaci non solo di prestare attenzione a cartelli e avvisi ma anche di attribuire significato al comportamento degli altri. Leggere serve a prendere i treni che dobbiamo prendere, a vivere un po' più consapevolmente la propria vita. Nelle situazioni semplici, come quelle della stazione a Forlì, ma anche in quelle più complesse dove i binari sono più di tre.

#2 Tempo di scelte di scuola media superiore. Qualche giorno fa ho partecipato con la figlia tredicenne all'open day del Liceo Classico. Io ho un rapporto di amore e odio col Liceo Classico,  frequentato in tempi immemorabili.
Una insegnante ha fatto un discorso bello e sentito sull'importanza degli studi classici per capire la contemporaneità, sull'importanza del pensiero critico, dell'essere partecipi, dell'essere soggetti attivi nella propria esistenza. Ha citato Platone e la paideia e io già mi stavo intenerendo e pensavo che forse il Liceo Classico non era stato causa delle mie infelicità adolescenziali, che forse in quei tempi immemorabili ero solo una adolescente infelice che frequentava il classico, quando l'insegnante ha parlato di "un altro grande pensatore che cito sempre: Massimo Gramellini" ed in particolare di quel Buongiorno di qualche anno fa in cui difende lo studio del greco e del latino.
Capisco che gli open day siano l'occasione per tentare di accaparrarsi un po' di studenti, ingraziarsi qualche genitore mostrando un lato più moderno, ma davvero possiamo paragonare il pensiero di Platone al distillato di senso comune, quando non di luoghi comuni, che ogni mattina molti di noi mandano giù col caffè?
Siamo veramente convinti che "Chi impara a districarsi fra Tacito e Platone assimila una tecnica che potrà applicare a qualunque ramo del sapere e della vita" o non è piuttosto una di quelle banali semplificazioni che sentiamo ripetere sempre uguali da decenni, assieme a quella che il classico ti insegna un metodo di studio?
Chi impara a districarsi fra Tacito e Platone assimila la tecnica per districarsi fra Tacito e Platone, forse. E tutto sommato non sarebbe un risultato di poco conto. Per trarne insegnamenti di carattere generale, insegnamenti di vita le cose sono un pochino più complicate e gli elementi che concorrono molti di più.
Io non so che scuola sceglierà mia figlia, mi piacerebbe fosse una scuola in grado di affrontare la complessità senza appiattirla, una scuola in grado di leggere Platone e Gramellini senza elevare quest'ultimo al rango di grande pensatore.

#3 Ho riletto ultimamente un piccolissimo libro di Luca Ferrieri, Il lettore a(r)mato. Vademecum di autodifesa. Pubblicato nel 1993 per Millelire Stampa Alternativa (qui potete leggerlo tutto). Il libro, che per l'attualità dell'analisi, sembra scritto ieri e non 22 anni fa,  è un invito al lettore ad armarsi delle armi della consapevolezza del proprio ruolo e dei propri diritti.
E qui sotto, con le parole che lo chiudono,  torniamo all'uomo in stazione, fermo ad un binario da cui non parte nessun treno

Leggere: un atto politico
Non potremo mai cambiare la realtà se non (la) sappiamo leggere.

domenica 8 novembre 2015

Vi rispiego il romanzo rosa (con l'aiuto di una lettrice particolare)

E con l'aiuto Mr. Darcy/Colin Firth qui a fianco.

E' vero i romanzi rosa non sono solo come quelli descritti nel post precedente. Me lo scrive Sandra Olianas, collega bibliotecaria sarda, lettrice di romanzi rosa, ha un blog Bisus, in cui scrive anche di libri. E lo faccio spiegare a lei

Per un momento leggendo questo post di Denise me lo sono chiesta se sia davvero così, se sia colpa dei romanzi rosa e se mi sarei fatta fregare anche io dal vedovo americano,  visto che nel rosa ci sono dentro fino al collo. Poi però mi sono subito risposta di no, ché tanto, almeno per il momento, non posso essere smentita.  Perché ci sono diverse gradazioni di rosa (ho qualche pudore ad usare il termine “sfumature” negli ultimi tempi)  e ci sono anche lettrici di rosa di un’altra specie.
E’ vero, gli stilemi del genere sono  gli stessi  in tutte le gradazioni, ma la formula giusta per ottenere il rosa che amiamo e quella di sottrarre sentimentalismo e aggiungere ironia, o quantomeno dialoghi brillanti.  Nella  memoria letteraria delle nostre autrici non c’è la Invernizio ma Jane Austen, insomma.  Ma veniamo a noi. Non proverò nemmeno a dire che non ci facciamo coinvolgere emotivamente perché dentro i romanzi che ci piacciono ci finiamo proprio tutte intere.  Piangiamo, sospiriamo (in senso figurato!) e ridiamo pure molto. Forse è vero che a volte cerchiamo la gratificazione emotiva, ma non fa alcuna differenza: ci godiamo i nostri romanzi anche nei momenti in cui siamo perfettamente gratificate.  E siamo soprattutto molto consapevoli. Consapevoli del fatto che a passare dallo stato solito a quello liquido solo per una dichiarazione d’amore ben  fatta, anche se non a noi, qualche problemino dobbiamo averlo per forza. Consapevoli delle nostre emozioni,  ché ne abbiamo a volte dovuto scandagliare gli abissi. Consapevoli del fatto che il lieto fine è un fermo immagine, dipende solo dal momento in cui decidi di fermare la storia, e di tutto il casino che può esserci oltre un fermo immagine. Consapevoli  del fatto che un vedovo americano che sostiene di essersi innamorato di noi dalla foto del profilo su facebook è sicuramente un truffatore e l’unica cosa cui può avere accesso non è il nostro conto in banca e tanto meno il nostro cuore, ma il nostro senso del ridicolo. Perché se anche avessimo bisogno di qualcuno che ci fornisca in maniera vicaria quell'attenzione e accudimento che non riceviamo a sufficienza nella vita quotidiana, ci servirebbe almeno un Mr Darcy che ingaggi con noi uno stimolante duello dialettico e non ci accontenteremo mai di un Mr. Collins qualunque, senza nemmeno la sua involontaria ironia.

E hai ragione Sandra ci son tante gradazioni di rosa. Anzi sfumature. Usiamo pure la parola, in fin dei conti anche la trilogia della James non è altro che un romanzo rosa con l'aggiunta di un po' di armamentario da sex shop e un product placement tanto pervasivo da produrre effetti opposti (non guiderei mai una Audi nemmeno se me la regalassero, e in effetti Mr. Grey regala Audi come fossero scatole di cioccolatini)

E cercando di capire un po' di più mi imbatto in questo libro, che mi riprometto di cercare e leggere:
Anna Paschetto, No lei disse no non voglio. La trama della commedia romantica nel romanzo inglese
Marcos y Marcos, Milano, 2001
Copio dalla presentazione editoriale:
Nell’analisi di Pamela, Pride and Prejudice e Jane Eyre, Anna Paschetto individua i principi strutturali della trama rosa, che si situa nella tipologia della commedia in una prospettiva peculiare, atta a soddisfare un’esigenza ideologica e psicologica propriamente femminile. In questo senso, la trama rosa si fa mito ricorrente che riproduce ai più diversi livelli di complessità  di banalità un modello inventivo dove la donna, attraverso la decisa negazione della femminilità come natura indiscriminata, impone all’uomo il proprio modello di erotismo e la propria individualità come persona.
Questo saggio dimostra come l’eroina rosa non è masochista, né accetta come ineluttabile un destino matrimoniale che anzi rifiuta, finché l’uomo non ha compiuto un processo di riconsiderazione della natura del rapporto amoroso che lo renda adatto a costituire la metà di quell’essere utopico che è la coppia.

Siamo a cavallo penserai, cara Sandra, la donna dice no finché l'uomo non ha ha compiuto un processo di riconsiderazione della natura del rapporto amoroso. E invece no, siamo rovinate, perché se c'è qualcosa di peggio della sindrome della crocerossina (io ti salverò) è certamente quella dell'io ti cambierò.
E in effetti conclude la presentazione: Per questo il romanzo rosa resta un mito femminile che le donne amano raccontarsi ma che ha pochi punti in contatto con la realtà.

Meglio rimettersi a leggere, no?

------
L'immagine sopra, tratta dallo sceneggiato Orgoglio e Pregiudizio della BBC,  ritrae Colin Firth  che esce da un piccolo lago nel quale si è buttato per placare il proprio tormento interiore (scrivo come in un romanzo rosa) e pare essere al primo posto nell'immaginario erotico sentimentale delle donne inglesi .
Ovviamente nel romanzo Mr. Darcy non si tuffa e non esce dall'acqua del laghetto con lo sguardo disperato e la camicia bagnata che gli aderisce al torace, ma chi siamo noi per perderci in queste sottili questioni filologiche austeniane?

venerdì 6 novembre 2015

Vi spiego il romanzo rosa (con l'aiuto di un vedovo americano)

Gira su facebook una truffa rivolta alle signore della mia età, alle signore di mezza età. Me lo raccontavano alcune amiche.
E' la truffa del vedovo americano. Si riceve una richiesta di amicizia da un signore, un americano dice lui. Questo signore vive momentaneamente in Nigeria o in altri paesi lontani dove fa il militare o altri lavori  un po' vaghi ma comunque interessanti: manager in una multinazionale, ingegnere petrolifero, costruttore di ponti e strade. Il signore in questione è sempre vedovo, in alcune varianti ha anche perso tragicamente la prole, in ogni caso è in procinto di abbandonare l'Africa e trasferirsi definitivamente in Italia (guarda caso ha spesso origini italiane).A questo punto avete capito come va a finire, il triste vedovo ritrova il sorriso grazie alla malcapitata, imbastisce una relazione a distanza e comincia a pianificare l'arrivo in Italia. E qui cominciano i problemi, gli intoppi, gli intralci. Una penale da pagare per poter lasciare prima la propria occupazione. La difficoltà ad accedere al proprio conto in banca. Alcune pendenze da saldare. E la trepidante truffata mette mano al conto corrente e partono bonifici internazionali.
Insomma ci sono state varie denunce e parecchie donne di mezza età turlupinate.

Qualche giorno fa è capitato a me.
Ricevo una richiesta di amicizia da un sedicente ingegnere petrolifero che vive a Nairobi. In un lungo messaggio mi scrive che quando ha visto la mia foto profilo ha provato un sentimento che non provava da 6 anni, quando sua moglie e suo figlio sono morti in un incidente stradale, e aggiunge che fra poco finirà il suo lavoro in Africa e si trasferirà in Italia dove vuole iniziare una nuova vita con me. (Poi dicono che gli uomini oggigiorno sono indecisi)
Passato il fou rire e un primo momento di rabbia, no non nei confronti dell'ingegnere petrolifero, ma delle signore mie coetanee che si son fatte abbindolare (è vero che ci han tirato su con le favole del principe azzurro e un'opera costante di smantellamento dell'autostima, ma sarebbe ora di darsi una svegliata da sole senza aspettare l'arrivo di un principe che vuole i soldi per il viaggio), capisco che questa storia funziona molto bene perché è una perfetta costruzione narrativa.
Racchiude in sé tutti gli stilemi del romanzo rosa, da Carolina Invernizio ad oggi. Un uomo forte ma che ha molto sofferto,  e che grazie a noi sta ritornando alla vita (ah, la sindrome della crocerossina), una storia d'amore con la promessa dell'happy end, le difficoltà da superare che fortificano l'amore e rendono più agognato il lieto fine. Sullo sfondo un'ambientazione esotica  affascinante e pericolosa che connota il carattere del protagonista maschile.
E se è vero che quello che connota le lettrici di romanzi rosa è il coinvolgimento emotivo nella narrazione - Janice A. Radway giunge a dire che "La lettura del romance integra le strade normalmente aperte alle donne per la gratificazione emotiva, fornendo loro in maniera vicaria quell'attenzione e accudimento che esse non ricevono a sufficienza nella vita quotidiana (La vie en rose. Letteratura rosa e bisogni femminili, Dino Audino Editore, 2012) - allora i vedovi americani consentono di vivere un romanzo. A caro prezzo.


domenica 18 ottobre 2015

Il reference è una mucca che soddisfa ogni desiderio

Ho appena finito di leggere il libro di Carlo Bianchini I fondamenti della biblioteconomia. Attualità del pensiero di S. R. Ranganathan. Che è un bel libro, di piacevolissima lettura ed estremamente interessante e grazie al quale ho scoperto Ranganathan. Di cui ovviamente conoscevo, come tutti i bibliotecari, le cinque leggi e poco altro. E ho scoperto che questo bibliotecario indiano è tanto citato quanto, almeno da noi, poco conosciuto.

Quello di Bianchini è il ritratto interessantissimo di una persona, del suo operato, del suo lavoro di teorizzazione della biblioteconomia, ma è anche il ritratto di un uomo profondamente legato alla propria cultura, a una visione mistico-religiosa dell'esistenza e, per certi versi, della biblioteconomia. Nel suo libro Il servizio di reference, Ranganathan, infatti, paragona il servizio di reference ideale alla mucca del saggio Vasishta (nel Ramayana di Valmiki) che soddisfa ogni desiderio.
O potenza della perfezione!
Vieni, vieni e subito ascolta
O Mucca che soddisfi ogni desiderio
Premio di tutte le mie tribolazioni
Fai piovere presto davanti a ciascuno
Tutto ciò di cui ciascuno ha bisogno
Da tutto il meglio dell'essenza a sei facce.
Ranganathan in tutte le sue numerosissime opere parte dal particolare, dalla prassi quotidiana, dal lavoro concreto del bibliotecario per trarne regole universali che cala nuovamente nella pratica bibliotecaria riformandola, rifondandola.

Al centro della biblioteca c'è il servizio di reference (che si basa sui pilastri delle 5 leggi) e al centro del servizio di reference c'è il bibliotecario, di cui Ranganathan riconosce il ruolo essenziale, definisce i criteri di assunzione e stabilisce le competenze di base. Con cinica ironia racconta la situazione del personale delle biblioteche, quando le biblioteche erano legate alla conservazione del materiale e non al loro uso
Non era strano che un posto di lavoro  in biblioteca rappresentasse il rifugio possibile per le persone  incapaci di fare altri lavori. Non era strano, per esempio che, che le biblioteche fossero gestite di sordi e menomati, balbuzienti e gobbi, ritardati e isterici, insomma ritardati di ogni sorta.
Una visione universale unita alla attenzione maniacale per i dettaglio pratico, una prosa che procede per esempi, aneddoti, racconti, esperienze personali spesso raccontate con grande humour. Un pensiero, un'idea di biblioteca ancora straordinariamente attuale.

Insomma io non vedo l'ora, assieme alla collega Roberta Turricchia, di parlare con Carlo Bianchini di queste e molte altre cose che la lettura del suo libro ci ha fatto venire in mente.
Lo faremo Giovedì 22 ottobre alle 16,30 a Reggio Emilia, presso la Mediateca della Biblioteca Universitaria Interdipartimentale, Viale Allegri 9 (Palazzo Universitario Dossetti).
Prima, alle 14,30, c'è l'Assemblea regionale degli associati AIB - Emilia Romagna alla quale interverrà Enrica Manenti (presidente nazionale AIB) e insieme a lei potremo discutere sulla situazione delle biblioteche pubbliche in regione. Vi aspettiamo



lunedì 29 giugno 2015

Come è triste Venezia

Io Brugnaro, il nuovo sindaco di Venezia, e quelli come lui, messi davanti ad un libro me li immagino un po' come gli scimmioni di 2001 odissea nello spazio davanti al monolito: lo guardano, ci girano attorno, emettono suoni disarticolati, lo toccano con circospezione, non riescono a capire cosa sia, ma ne avvertono la pericolosa importanza.
O come la madre di Jeannette Winterson, che proibisce alla figlia la lettura di libri di narrativa perché considerati portatori di guai e perché "il guaio di un libro è che scopri cosa contiene (e lì cominciano le pene) quando ormai è troppo tardi". La Winterson lo racconta nel romanzo autobiografico Perché essere felice quando puoi essere normale che è, fra le altre cose, la storia di una passione per i libri e la lettura nata anche dalla loro proibizione.

Brugnaro, appena eletto, dando corso ad una promessa fatta in campagna elettorale, ha ordinato di eliminare da asili nido e scuole materne "libri gender, genitore 1 e genitore 2"
Questo l'elenco che circola

E la messa all'indice di questi libri, alcuni bellissimi come quelli di Leo Lionni (bandito per ben tre volte con Piccolo blu e piccolo giallo, Pezzettino e Guizzino), si spiega solo con l'attribuire al libro una forza grande, misteriosa e sconosciuta. Insomma alla fine, quasi quasi, verrebbe da ringraziarlo Brugnaro per avercelo ricordato. E per aver dato vita, con il suo index librorum prohibitorum, ad una delle più grosse campagne di promozione della lettura degli ultimi tempi, visto il moltiplicarsi di riflessioni, condivisioni, inviti ad esporre i libri in biblioteche e librerie, a organizzare letture collettive.

Purtroppo, sempre nella stessa giornata (24 giugno), il sindaco per "garantire il ripristino di alcuni servizi essenziali" ha anche deciso di non rinnovare il contratto ad alcune cooperative socioculturali che collaboravano alla gestione delle biblioteche comunali licenziando, di fatto, 18 bibliotecari. La biblioteca non è considerata un servizio essenziale. Non è una novità, bastava leggere il suo  programma elettorale, in cui si parla di turismo, glamour ed eventi, per capirlo.


lunedì 22 giugno 2015

Biblioteche che non lo erano

Ho appena finito di leggere Notizie che non lo erano di Luca Sofri.
Il libro, se ne è parlato parecchio, racconta come molte delle notizie giornalistiche che siamo abituati a leggere, indistintamente sui giornali cartacei o online e più genericamente in internet, non siano vere o non lo siano completamente.
Attraverso una serie di esempi, alcuni francamente esilaranti come quelli legati a cattive traduzioni di frasi in lingue inglese, ma tutti comunque sconsolanti, Sofri ci spiega in cinque capitoli (Da dove arrivano, Come si insediano nelle redazioni, Come si impossessano dei titoli, Perché smettiamo di accorgercene, Come se ne esce) come funziona buona parte del giornalismo italiano

C'è una frase nel libro, non di Sofri ma che Sofri afferma di condividere, di Jeff Jarvis, giornalista americano ed esperto di comunicazione contemporanea "Qualunque cosa svolga efficacemente il compito di creare comunità più informate - e quindi meglio organizzate - è giornalismo"
Ecco mi chiedo se, parafrasando e ad un livello più piccolo, ed in Italia infinitamente più piccolo, visto gli esigui numeri di chi le frequenta, qualunque cosa svolga efficacemente il compito di creare comunità più informate non possa e non debba essere anche biblioteca.
Mi spiego meglio. Se è vero, e Sofri nel suo libro lo spiega molto bene, che è estremamente difficile distinguere il vero dal falso, che ad aumentare la confusione contribuiscono tutti gli attori sul palcoscenico, che dobbiamo imparare a muoverci con diffidenza, vorrei aggiungere con consapevolezza, per tentare di fare le dovute distinzioni, credo che le biblioteche in tutto questo possano e debbano avere un compito fondamentale.
Forse sarebbe ora di dare una visione più ampia al tanto sbandierato ruolo di centralità sociale della biblioteca che spesso si declina in corsi di tricot, tornei di burraco, iniziative estemporanee di balletti che neanche il dopolavoro ferroviario, rivendicazione di un ruolo di welfare sbandierando orgogliosi l'ospitalità ad homeless che svernano sulle sedute di design (citando a questo punto immancabilmente Bukowski che passando intere giornate alla biblioteca di Los Angeles scopriva John Fante, Sartre e Céline).
Che le biblioteche pubbliche debbano essere aperte tutti, a chi ha cinque case e chi non ne ha nessuna, alla casalinga di Voghera e al disoccupato dovrebbe esser cosa normale di cui non farsi vanto.
Ma sono assolutamente convinta che non si debba perdere di vista il loro ruolo fondamentale che è quello di contribuire a diffondere informazione, sapere, consapevolezza, cultura. E credo anche che una delle prime forme di disparità sociali sia la mancanza di accesso all'informazione e che se le biblioteche devono avere un ruolo di welfare debba essere quello di welfare della conoscenza.

Poi, se devo fare un appunto al bel libro di Luca Sofri, gli rimprovero forse di non aver messo in luce a sufficienza gli effetti di anni di notizie false mai smentite, di ricostruzioni inventate o fantasiose, insomma di un giornalismo approssimativo quando non in malafede, sulla costruzione dell'opinione pubblica italiana.
Ma qui, per quanto molti di quegli effetti siano sotto gli occhi di tutti, ci vorrebbe un altro libro

domenica 7 giugno 2015

Per una Biblioteca Nazionale dell'Inedito. Dall'idea al progetto

E alla fine salta fuori che l'idea lanciata dal Ministro Franceschini di creare una Biblioteca Nazionale dell'Inedito particolarmente nuova ed inedita non è.
Ci penso da qualche giorno, qualcuno ha citato Borges, qualcun altro L'Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, e oggi finalmente, frugando nelle memoria sempre più labile delle mie letture disordinate, mi è venuto in mente. Insomma esiste già una biblioteca che raccoglie gli inediti.
Nella mente di uno scrittore, è vero, e nelle pagine di un romanzo, ma descritta in maniera talmente dettagliata sia negli spazi che nelle funzioni da poter essere utile.
Insomma penso che quando il Ministro vorrà passare dalla enunciazione dell'idea alla stesura di un progetto non potrà prescindere dalla lettura del romanzo di Richard Brautigan, L'aborto una storia romantica.
Protagonista del libro è un giovane bibliotecario di Los Angeles che vive e lavora in una biblioteca che raccoglie i manoscritti, gli inediti, i libri non pubblicati

La biblioteca
Questa biblioteca è nata perché si sentiva il bisogno e il desiderio di un luogo simile. Doveva esserci, ecco, una biblioteca così. Quel desiderio ha fatto esistere quest'edificio, non molto grande, e il personale a esso dedicato, al momento rappresentato interamente da me.

Gli spazi
Se lo spazio è un grosso problema per tutte le biblioteche lo è, a maggior ragione per una biblioteca che raccolga inediti. In quella di Los Angeles si sono organizzati con grandi magazzini esterni:
Dato che questo edificio non è grande siamo stati costretti a immagazzinare migliaia di volumi altrove. [...] Sono così tanti i libri che si scrivono e che, per scelta o per destino, finiscono da noi. Abbiamo incamerato centoquattordici libri sulla Ford Model T, cinquantotto sulla storia del banjo e diciannove sullo scuotimento del bufalo, da quando la biblioteca è stata fondata. Tutti i cataloghi con i libri registrati uno per uno di anno in anno, sono qui. Ma la maggior parte dei libri si trovano in caverne chiuse ermeticamente, nel Nord della California.

Gli orari 
La biblioteca è aperta ininterrottamente per consentire agli scrittori di consegnare in biblioteca la loro opera in ogni momento.

L'utenza
Nessuno frequenta la biblioteca, a parte gli scrittori che consegnano i propri libri, nessuno è interessato a leggerli, a consultarli, a prenderli a prestito

La collocazione dei libri
Non usiamo il sistema di collocazione Dewey né alcun altro sistema, per catalogare i nostri volumi. Li annotiamo sul nostro Librone, via via che arrivano. Quindi lasciamo che sia lo stesso autore a collocare il suo libro dove gli aggrada, su un qualsiasi scaffale, a suo piacimento.
Non importa dove viene collocato, tanto non viene mai nessuno a prenderli in prestito, né a leggerli sul posto.

Il personale
Pochissime le spese per il personale di questa biblioteca. Ne basta uno, che viva in una piccola stanza sul retro, da pagare in maniera irrisoria e senza particolare preparazione:
Molti hanno lavorato qui prima di me. L'avvicendamento è molto rapido. Credo il trentacinquesimo o trentaseiesimo bibliotecario. Ho ottenuto il posto perché ero l'unico che avesse i requisiti necessari. Ho trentun anni e non ho mai fatto veri e propri studi da bibliotecario.


Per dovere di cronaca va anche detto che ad un certo punto la protagonista femminile dice al bibliotecario:
«Le va di scherzare» disse. «O vuol darmi a bere che in questo posto ci sono delle regole? Non so proprio come dirglielo, ma lei lavora in un posto a dir poco stravagante, questa biblioteca  è una totale follia»


 L'aborto, una storia romantica, di Richard Brautigan, ISBN 2012 (precedentemente pubblicato col titolo La casa dei libri)

sabato 6 giugno 2015

Il solito post sulle famigerate letture estive

Io lo so che, visto che è finita la scuola e la temperatura si è alzata, dovrei scrivere il solito post sulle famigerate letture estive. Piacciono  molto a noi bibliotecari i post sulle famigerate letture estive.
Possiamo lamentarci di quanto poco gli insegnanti di lettere (molti di loro) leggano e conoscano la narrativa per ragazzi, di come consiglino sempre gli stessi libri ecc. ecc.
Però, siccome non ci hanno dato tregua nemmeno durante l'inverno, chiedendoci libri sull'olocausto per bambini di 3/4 anni, e diari, oltre a quello di Anna Frank, scritti da bambini in tempo di guerra, se proprio volete leggervi un post sulle famigerate letture estive potete leggere quello dell'anno scorso, oppure quello del 2013 ed anche quello del 2012.
Tanto, vi garantisco, non è cambiato assolutamente nulla.

mercoledì 3 giugno 2015

Cookie love

Non mi è chiaro se anche chi ha un blog deve assoggettarsi a quella colossale corbelleria che è la cookie law.
Comunque non ho difficoltà a dichiarare che colei che sporadicamente scrive questo blog fa uso non sporadico di cookie. Quando ha tempo autoprodotti, in ogni caso di vario tipo. Che utilizza i cookie per raccogliere informazioni sulle persone, dal momento che diffida grandemente di chi non ama e non consuma cookie, biscotti e dolcetti in genere.

E siccome in questo blog si parla di narrativa, anche in romanzi e racconti si fa grande uso di biscotti.
Ovviamente viene subito in mente la madeleine di Proust intinta nell'infuso di tiglio. Ed anche Alice che nella tana del coniglio trova un biscotto con la scritta "mangiami" e dopo averlo assaggiato diventa gigantesca. Ed Hansel e Gretel che si sfamano con la casetta di biscotto della strega e l'omino di pan di zenzero della tradizione inglese mangiato dalla volpe.
Il protagonista di Dolcezza, nei Sillabari di Parise, passeggia per Venezia e assapora la dolcezza, velata di malinconia, dell'esistenza gustando dei kipferl di pasta di mandorle in un caffè in piazza San Marco.
E i biscotti ai semi di papavero più volte citati ne La famiglia Karnowski rimandano alla terra d'origine lontana e alle tradizioni così come alla tradizione si rifà anche la preparazione dei gueffus di pasta di mandorle in Accabadora.
Nel racconto Furto in pasticceria, in Ultimo viene il corvo, gli improbabili ladri penetrati in pasticceria per rubare i soldi della cassa, si fanno distrarre da torte, paste, biscotti, savoiardi e amaretti e restano sgomenti davanti all'idea di "dover scappare prima d’aver assaggiato tutte le qualità di dolci"
In Guerra e Pace invece il più piccolo dei fratelli Rostov, Petja, si fa largo fra la calca per riuscire ad agguantare uno dei biscotti che lo zar, dal balcone, lancia alla folla. "Non sapeva perché, ma sentiva di aver bisogno di prendere uno di quei biscotti dalle mani dello zar e di non potervi rinunziare a nessun costo".

E poi le scatole di biscotti, come quella di Norvegian Wood "Hai presente quelle scatole di latta con i biscotti assortiti? Ci sono sempre quelli che ti piacciono e quelli che no. Quando cominci a prendere subito tutti quelli buoni, poi rimangono solo quelli che non ti piacciono. È quello che penso sempre io nei momenti di crisi. Meglio che mi tolgo questi cattivi di mezzo, poi tutto andrà bene. Perciò la vita è una scatola di biscotti"
O la scatola di biscotti al cioccolato che Cookie Boy, abilissimo topo d'appartamento, lascia come firma di ogni suo colpo, nei romanzi di Ed McBain della serie dell'87° distretto.
O, per finire, le scatole di latta dei biscotti SAIWA che riportano le parole di D'annunzio (che si dice essere anche l'inventore dell'acronimo Società Accomandita Industria Wafer e Affini)
"Queste vostre novissime scatole di biscotti fini superano in finezza e in bontà le migliori di Inghilterra.
Son troppo squisite per me.
Vi ringrazio, Vi lodo
Vittoriale, 11 marzo 1929 – GdA – marinaio”

Marcel Proust, Alla Ricerca del tempo perduto, Mondadori "I meridiani", 1983
Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, Garzanti 1993
Goffredo Parise, Sillabari, Adelphi, 2004
Israel Joshua Singer, La famiglia Karnowski, Adelphi, 2013
Michela Murgia, Accabadora, Mondadori, 2009
Italo Calvino, Ultimo viene il corvo, Mondadori, 1994
Lev Tolstoj, Guerra e pace, Garzanti 1994
Haruki Murakami, Norvegian Wood
Ed McBain, romanzi della serie dell'87° distretto

domenica 24 maggio 2015

Quando i mulini erano bianchi

Ovvero, grattare la superficie: perché leggiamo meno


Qualche giorno fa ho letto l'articolo Via i cellulari. Leggete con lentezza. Le 14 regole dello slow reading di David Mikics. L'autore racconta di quando, trovandosi in un posto isolato e privo di connessione internet, passato un primo momento di smarrimento, ha la sensazione di vivere in un mondo prodigiosamente nuovo e capisce di avere molto più tempo anche per leggere.
Ora che l'assenza di connessione internet produca sensazioni di straniamento e percezione alterata della realtà è un fatto che tutti più o meno abbiamo sperimentato. Io, ad esempio, in condizioni analoghe a quelle di Mikics, su un'isola sperduta con una connessione malamente funzionante, ad un certo punto ho cominciato a pensare che avrei potuto cominciare a correre. In agosto, con oltre 30 gradi. E chi mi conosce sa quanto reputi perniciosa ogni forma di attività fisica.
Il fatto è che Mikics torna corroborato dalla sua vacanza senza internet e, riandando con la memoria a quando da giovane  viveva sconnesso ma con molto più tempo a disposizione, invita alla pratica dello slow reading. Cioè a riappropriarsi di tempo privo di distrazioni per imparare o reimparare  a leggere lentamente.
Insomma l'ennesimo articolo del genere "Quando i mulini erano bianchi" che  piace tanto a certa nostra stampa: un nostalgico riecheggiare i bei tempi andati quando privi di connessione internet c'era tempo per tutto: leggere, pensare, incontrare gli amici di persona, fare il pane in casa. Insomma internet uguale a distrazione, a pericolosa sirena d'Ulisse.
E se provassimo ad andare un po' oltre a questa banalizzazione? A grattare un po' la superficie di quell'opinione diffusa che vede il web come il padre e la madre di tutte le nostre superficialità? Veramente non leggiamo o leggiamo meno solo perché siamo sempre connessi? Forse è un po' troppo semplice come spiegazione, forse ci sono altri motivi, ad esempio la qualità eufemisticamente non eccelsa di molti dei libri che ci vengono propinati. Leggere è sempre una attività preferibile al web, al guardare la televisione, al fare una passeggiata (leggete Uno può anche non leggere di Virginia Gentilini)? Anche leggere libri brutti, scritti male, editati peggio?
Il fatto è che, come scrive Mario Fillioley, I libri sono da sempre vittime di questo fraintendimento. Alla lettura viene affidata una missione pedagogica alta e salvifica che invece ad altre arti, come la musica o il cinema, è concesso di non dover assolvere. Questo porta da una parte a bollare come libroidi, cioè quasi come proibiti, i libri di puro intrattenimento, e dall’altro, all’opposto, a sostenere che leggere è bene in sé, quale che sia la cosa che leggi, perché leggere è utile, istruttivo, interessante, e te ne accorgerai perfino leggendo il libro della Casati Modignani che ti stiamo proponendo.
Qui, su minima&moralia, trovate l'intero articolo, scritto in occasione della campagna di promozione della lettura #ioleggoperché (se invece volete sapere qualcosa di più sulla origini della campagna leggete qui cosa scrive Maurizio Caminito).
E se provassimo a considerare il web non solo o non esclusivamente come fonte di distrazione ma come un contenitore nel quale il "narrativo" è trasportato? Il ragionamento è articolato, lo fa Christian Raimo in un'intervista di qualche mese fa che potete leggere qui, nella quale si parla di industria culturale, ma anche di narratività, fruizione delle storie, trasformazione del romanzo. Raimo ricorda fra l'altro come ogni età abbia avuto le sue distrazioni dalla lettura
Quando eravamo piccoli, ci fu l’invasione dei cartoni animati giapponesi. Si credeva che questi cartoni togliessero completamente ai ragazzi la possibilità di leggere libri. Io passavo moltissimo tempo guardare la televisione, ma questo mi ha insegnato a leggere in maniera diversa i romanzi, a chiedere delle formule narrative altre. Dopo aver visto Breaking Bad, se trovo un noir scritto male, mi annoio. E magari mi guardo un’altra serie. Ma se trovo un romanzo che concilia la qualità della trama con una scrittura eccelsa, me lo “ciuccio da morire
Insomma ha senso ricordare nostalgicamente i bei tempi andati, ammesso che fossero così belli, o non sarebbe forse meglio cercare di capire come internet, il web, i social network stanno cambiando le narrazioni e il modo di fruirne?
E, soprattutto, ha senso ridurre un fenomeno così complesso, articolato, come quello della passione per la lettura e della sua crisi alla mancanza di tempo, alle distrazioni della rete?
Vien da pensare che come passione sia ben poca cosa se non si è grado di trovare il tempo di coltivarla, se soccombe alla tentazione di un click.

Postille #1
Due tre cose sull'articolo pubblicato sul Corriere.
Si tratta della traduzione di uno scritto di Mikics (come appare indicato), ma non è dato sapere di quale scritto si tratti, se un articolo giornalistico o un brano del suo libro (che non viene citato).  Non è dato sapere neppure se si tratti di uno scritto tradotto integralmente o se siano stati scelti qua e là alcuni passi utili a corroborare la linea editorial/culturale del Corriere.
Il titolo fa riferimento a 14 leggi dello slow reading che di fatto non vengono citate ma che potete leggere qui.
Insomma quando leggo qualcosa mi piacerebbe sapere con esattezza di cosa si tratti.

Postille #2
David Mikics nel 2013 ha pubblicato un libro: Slow reading in a hurried age che si propone attraverso appunto 14 regole di insegnare a leggere lentamente e con attenzione. Non ho letto il libro e mi limito pertanto a esprimere qualche perplessità sul fatto che il piacere di leggere (che come sappiamo non sopporta l'imperativo) possa essere oggetto di regole, prescrizioni, esortazioni, manualistica. Perplessità espresse anche qui, oltre alla convinzione che la posizione di Mikcks sia completamente anacronistica o addirittura fuori dal tempo (Mikics takes his slow reading cue from the American “New Critics” of the mid-20th century; he wishes to return to a time not just before the internet, but also before the far-reaching reformulations of literary study since then. Ideally, we have a reader alone with a book, and literature offers security in an unsettled age) posizione ribadita con più forza anche in questo altro articoloEvery age has been a hurried age, and slow reading has always been a choice. Silly books like this one – calling for the return to a golden age that never existed while at the same time condemning the golden age unfolding right under the author’s upturned nose – have never added anything useful to the real questions posed by the rise of both the Internet and electronic books. Those questions – that debate – goes on and gets more and more interesting with every passing year, but you won’t find it in Mikics’ pages. Instead, what you’ll find here is a sepia-tinted love letter to that time when we all savored and treasured every book we read, carefully and lovingly selecting each one, maybe twenty a year but certainly no more than forty. 

Postille #3
Sul Mulino Bianco
Ricordo, oltre vent'anni fa, una visita all'Abbazia di San Galgano, in Toscana. Era un pomeriggio di maggio ed eravamo praticamente soli mio marito ed io nella grande, bellissima  navata a cielo aperto. Proseguendo nel nostro viaggio, pochi chilometri più avanti centinaia di macchine parcheggiate sul ciglio della strada. Scopriamo così il famoso mulino bianco di pubblicitaria memoria, meta turistica di grande richiamo. E scopriamo che grattando sotto il bianco della superficie, quell'intonaco chiaro evocativo di cose sane, genuinità, salute steso appositamente per la campagna pubblicitaria, ci viene restituita la straordinaria, non banale, articolata complessità di una bella costruzione in sasso e pietra.

mercoledì 11 marzo 2015

Sesso, bugie e sottomissione

Tranquilli, parliamo di titoli di libri


Oggi è arrivato in biblioteca il libro di Eric Zemmour Sii sottomesso. La virilità che ci consegna all'Islam. La prima cosa che ho pensato è che era l'ennesimo titolo che mi capitava sottomano con parole come sottomissione, sottomesso/a. Poi mi sono chiesta se non fosse una mia impressione e ho fatto un po' di ricerche consultando qualche catalogo.
Il volume in questione  viene descritto come un pamphlet choc che "si scaglia contro la devirilizzazione dell'uomo europeo e il suicidio della società occidentale" (Ansa). Immediato il riferimento all'ultimo romanzo di Houellebecq, Sottomissione. Anche perché i due scrittori sono accomunati dall'essere entrambi sotto scorta dopo la strage a Charlie Hebdo.
Si ha l'impressione che si tratti di un testo nuovo, appena scritto, magari sull'onda degli ultimi avvenimenti, e invece  scopro che il titolo originale è Le premiere sexe, che è stato pubblicato per la prima volta in Francia nel 2006 ed in seguito nel 2009. Scopro anche che il libro era già stato pubblicato in Italia, nel 2007 col titolo L'uomo maschio.
Insomma una operazione furbetta della casa editrice che in entrambe le edizioni italiane ha preferito cancellare qualsiasi, evidente, riferimento a Le deuxième sexe di Simone De Beauvoir, e aggiungerne, in quella più recente, uno all'Islam inesistente nell'originale.
Se il titolo riecheggia quello del romanzo di Houellebecq, copia invece spudoratamente Sposati e sii sottomessa. Pratica estrema per donne senza paura di Costanza Miriano, pubblicato per la prima volta nel 2011. Il libro, di cui è bello prendersi gioco argutamente con amici bibliotecari, e non, su facebook, propone un'idea dei rapporti matrimoniali che anche la mia bisnonna ferrarese avrebbe giudicato ridicola, anacronistica e pericolosa.
Continuando a cercare (i cataloghi sono una cosa meravigliosa) e andando a ritroso nel tempo, scopro che, solo nel 2013, in Italia sono stati pubblicati:
Sottomessa al piacere di Beth Kery (titolo originale Sweet restraint)
Sottomessa di Lora Leigh, (titolo originale Surrender)
Sottomessa per amore di Nichi Hodgson (titolo originale Bound to you)
e nel 2012:
Diario di una sottomessa: La vera storia di un risveglio sessuale di Sophie Morgan (titolo originale The diary of a submissive)
Tutti libri, come è intuibile dai titoli, nei quali il concetto di sottomissione  ha una forte connotazione erotica e direi anche positiva.  Ricordo, per inciso, che nel 2012 è stata pubblicata in Italia la trilogia delle 50 sfumature.
Continuando il mio viaggio a ritroso nel tempo dal 2011 il termine sottomissione scompare dai titoli dei libri per ricomparire nel 2007 e nei due anni immediatamente precedenti ma completamente privo di ogni connotazione erotica e positiva. Nel 2007 esce  Né puttane né sottomesse di Fadela Amara, che racconta la storia di un movimento nato nelle banlieues per denunciare il dilagare del maschilismo e della violenza, nel 2006 Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia di Marie-France Hirigoyen e nel 2005 Non sottomessa. Contro la segregazione nella società islamica di Ayaan Hirsi Ali.
Poi, praticamente, più nulla, se si eccettua, nel 1988, Non puoi tenere sottomessa una donna in gamba di Alice Walker.

Ora io non saprei dire esattamente cosa significhi tutto questo. Forse che i cataloghi oltre ad essere meravigliosi la sanno lunga e a saperli leggere raccontano molto della storia della nostra editoria, delle nostre biblioteche ed anche della nostra società.  Associare al termine sottomessa, che significa essere piegati al volere di altri, le parole amore, piacere, matrimonio o aggiungere al titolo di un libro riferimenti all'Islam e alla paura di esserne sottomessi, non sono semplici operazioni editoriali, non sono atti neutri, suggeriscono nuove interpretazioni, producono nuovi significati. Insomma "le parole sono importanti" e di conseguenza anche i titoli dei libri. E parole e titoli dei libri vanno usati  con proprietà e maneggiati con cura.




domenica 18 gennaio 2015

Biblioteca Stanislao Moulinski

Ho letto oggi due, tre cose  che poco hanno a che fare con la narrativa ma molto con l'attività del leggere, della scelta di cosa leggere e con il ruolo e il futuro delle biblioteche.

Cominciamo con L'ignoranza degli italiani inizia sui giornali dove si dà conto di una indagine condotta dai ricercatori di Ipsos Mori in quattordici nazioni ad alto reddito  "per misurare le percezioni su caratteristiche sociali, demografiche ed economiche del proprio paese, quali la percentuale di immigrati, il tasso di disoccupazione, la percentuale di musulmani e di cristiani e l’affluenza elettorale alle ultime elezioni".
Dall'indagine, che risale all'autunno scorso e se ne è parlato parecchio,  risulta che noi italiani siamo i peggio informati sulle caratteristiche del nostro paese.
L'indice di ignoranza, vale a dire la discrepanza fra percezione e realtà nelle domande, non avrebbe legami significativi con il reddito degli intervistati, ma sarebbe da mettere in correlazione con la qualità dell'informazione e l'indice della libertà dell'informazione giornalistica,  con la penetrazione di internet e col livello di qualità educativa.
Insomma conclude Massimiliano Calì "Quando il giornalismo non è pienamente indipendente dal potere politico ed economico e la legislazione che regola i mezzi di informazione non è trasparente, stampa, tg e nuovi media non informano i cittadini adeguatamente anche su temi sociali e politici di centrale importanza per la società. E visto che gran parte dei cittadini attingono queste informazioni principalmente dai media (tradizionali), finiscono per essere male informati".

Poi leggo del Senatore Maurizio Gasparri che con un tweet fa passare l'idea che Greta e Vanessa, le volontarie appena liberate, abbiano avuto rapporti sessuali consenzienti con i rapitori e che gli italiani abbiano pagato per questo.
Come scrive Massimo Mantellini, Storia di un punto interrogativo, "esiste un vasto uniforme sottofondo di puttanate (Gramellini e Serra ce lo ricordano ormai un paio di volte alla settimane nelle loro rubriche sui giornali) che ricopre le conversazioni sui social network, i siti web e le nostre caselle di posta: imparare a districarsi lì dentro – come dico sempre – è la nostra nuova sapienza".

Infine leggo sul Post, Come salvare le biblioteche, che il ministero della Cultura, dei media e dello sport del Regno Unito ha pubblicato un rapporto indipendente sulle biblioteche pubbliche proponendo diverse soluzioni per rilanciarne il ruolo  e renderle più rilevanti per la comunità.
Una di queste proposte consisterebbe nello svecchiare le biblioteche trasformandole in "caffetterie, dove oltre a leggere o prendere in prestito un libro si possa bere una tazza di caffè o tè, navigare facilmente su Internet tramite il WiFi e avere spazi per conversare e confrontarsi con altri lettori".
E' vero che la Gran Bretagna non è l'Italia (e arrivare a quel terzo delle popolazione che "ancora", nonostante i tagli, frequenta le biblioteche, sarebbe da noi, come diciamo in Romagna, grasso che cola) ma questa idea della biblioteca che si trasforma (esteriormente, si badi bene solo esteriormente) in qualcosa d'altro è oramai pensiero dominante anche da noi.
Ora è del tutto evidente, banale, degno delle migliori massimo di quel Catalano che filosofeggiava sui divani di Quelli della notte che è molto meglio che le biblioteche siano belle, accoglienti, luminose, vi si possano scambiare due chiacchiere e bere un caffè, piuttosto che  polverose, scure, fredde d'inverno e calde d'estate. Ma stabilito questo, e molte biblioteche si sono rifatte il look,  potremmo provare a parlare di cosa è o dovrebbe essere una biblioteca?
Perché a me questa idea della biblioteca che si maschera, si nasconde, si trasforma in caffetteria (e perché non in centro commerciale, sexy shop, sala giochi, raccordo anulare e chi più ne ha più ne metta) per attirare nuovi utenti fa tanto venire in mente Stanislao Moulinski. Lo ricordate? L'acerrimo nemico di Nick Carter, il delinquente dai mille travestimenti.
Perché l'impressione è che si faccia una gran confusione fra forma e sostanza, o meglio che si pensi alla forma pensando che una qualche sostanza prima o poi ne conseguirà.
Perché se penso che in Italia abbiamo una qualità dell'informazione pessima, una qualità educativa eufemisticamente non eccelsa, una scarsa penetrazione di internet ma con un "vasto e uniforme sottofondo di puttanate", una qualche idea sul ruolo che le biblioteche potrebbero e dovrebbero avere io ce l'ho. Poi possiamo parlarne anche in caffetteria.

---
Domani, 19 gennaio, vado a Ravenna  alla Biblioteca Oriani a sentire Virginia Gentilini parlare di
Biblioteche, lettori e Wikipedia: convergenze inattese e missioni comuni.
Leggete sul suo blog un po' di cose su Wikipedia e su perché può essere importante in biblioteca. Ha molto a che fare con le fonti, la loro autorevolezza, con lo scegliere le informazioni e il rielaborarle, con l'acquisire consapevolezza e pensiero critico.