domenica 18 gennaio 2015

Biblioteca Stanislao Moulinski

Ho letto oggi due, tre cose  che poco hanno a che fare con la narrativa ma molto con l'attività del leggere, della scelta di cosa leggere e con il ruolo e il futuro delle biblioteche.

Cominciamo con L'ignoranza degli italiani inizia sui giornali dove si dà conto di una indagine condotta dai ricercatori di Ipsos Mori in quattordici nazioni ad alto reddito  "per misurare le percezioni su caratteristiche sociali, demografiche ed economiche del proprio paese, quali la percentuale di immigrati, il tasso di disoccupazione, la percentuale di musulmani e di cristiani e l’affluenza elettorale alle ultime elezioni".
Dall'indagine, che risale all'autunno scorso e se ne è parlato parecchio,  risulta che noi italiani siamo i peggio informati sulle caratteristiche del nostro paese.
L'indice di ignoranza, vale a dire la discrepanza fra percezione e realtà nelle domande, non avrebbe legami significativi con il reddito degli intervistati, ma sarebbe da mettere in correlazione con la qualità dell'informazione e l'indice della libertà dell'informazione giornalistica,  con la penetrazione di internet e col livello di qualità educativa.
Insomma conclude Massimiliano Calì "Quando il giornalismo non è pienamente indipendente dal potere politico ed economico e la legislazione che regola i mezzi di informazione non è trasparente, stampa, tg e nuovi media non informano i cittadini adeguatamente anche su temi sociali e politici di centrale importanza per la società. E visto che gran parte dei cittadini attingono queste informazioni principalmente dai media (tradizionali), finiscono per essere male informati".

Poi leggo del Senatore Maurizio Gasparri che con un tweet fa passare l'idea che Greta e Vanessa, le volontarie appena liberate, abbiano avuto rapporti sessuali consenzienti con i rapitori e che gli italiani abbiano pagato per questo.
Come scrive Massimo Mantellini, Storia di un punto interrogativo, "esiste un vasto uniforme sottofondo di puttanate (Gramellini e Serra ce lo ricordano ormai un paio di volte alla settimane nelle loro rubriche sui giornali) che ricopre le conversazioni sui social network, i siti web e le nostre caselle di posta: imparare a districarsi lì dentro – come dico sempre – è la nostra nuova sapienza".

Infine leggo sul Post, Come salvare le biblioteche, che il ministero della Cultura, dei media e dello sport del Regno Unito ha pubblicato un rapporto indipendente sulle biblioteche pubbliche proponendo diverse soluzioni per rilanciarne il ruolo  e renderle più rilevanti per la comunità.
Una di queste proposte consisterebbe nello svecchiare le biblioteche trasformandole in "caffetterie, dove oltre a leggere o prendere in prestito un libro si possa bere una tazza di caffè o tè, navigare facilmente su Internet tramite il WiFi e avere spazi per conversare e confrontarsi con altri lettori".
E' vero che la Gran Bretagna non è l'Italia (e arrivare a quel terzo delle popolazione che "ancora", nonostante i tagli, frequenta le biblioteche, sarebbe da noi, come diciamo in Romagna, grasso che cola) ma questa idea della biblioteca che si trasforma (esteriormente, si badi bene solo esteriormente) in qualcosa d'altro è oramai pensiero dominante anche da noi.
Ora è del tutto evidente, banale, degno delle migliori massimo di quel Catalano che filosofeggiava sui divani di Quelli della notte che è molto meglio che le biblioteche siano belle, accoglienti, luminose, vi si possano scambiare due chiacchiere e bere un caffè, piuttosto che  polverose, scure, fredde d'inverno e calde d'estate. Ma stabilito questo, e molte biblioteche si sono rifatte il look,  potremmo provare a parlare di cosa è o dovrebbe essere una biblioteca?
Perché a me questa idea della biblioteca che si maschera, si nasconde, si trasforma in caffetteria (e perché non in centro commerciale, sexy shop, sala giochi, raccordo anulare e chi più ne ha più ne metta) per attirare nuovi utenti fa tanto venire in mente Stanislao Moulinski. Lo ricordate? L'acerrimo nemico di Nick Carter, il delinquente dai mille travestimenti.
Perché l'impressione è che si faccia una gran confusione fra forma e sostanza, o meglio che si pensi alla forma pensando che una qualche sostanza prima o poi ne conseguirà.
Perché se penso che in Italia abbiamo una qualità dell'informazione pessima, una qualità educativa eufemisticamente non eccelsa, una scarsa penetrazione di internet ma con un "vasto e uniforme sottofondo di puttanate", una qualche idea sul ruolo che le biblioteche potrebbero e dovrebbero avere io ce l'ho. Poi possiamo parlarne anche in caffetteria.

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Domani, 19 gennaio, vado a Ravenna  alla Biblioteca Oriani a sentire Virginia Gentilini parlare di
Biblioteche, lettori e Wikipedia: convergenze inattese e missioni comuni.
Leggete sul suo blog un po' di cose su Wikipedia e su perché può essere importante in biblioteca. Ha molto a che fare con le fonti, la loro autorevolezza, con lo scegliere le informazioni e il rielaborarle, con l'acquisire consapevolezza e pensiero critico.